
Gli ex ghiacciai – Francesca Paoli
A cura di Francesca Paoli
Cosa c’è di più appagante dell’arrivare in cima a una montagna, dopo ore di difficile sentiero circondati solo da rocce e rada vegetazione, in un paesaggio quasi lunare, e trovarsi di fronte ad un lago turchese dai contorni sinuosi, in cui si specchiano le vette? Eppure anche questo luogo deve far riflettere… Siamo di fronte ad una testimonianza tangibile di un profondo cambiamento del paesaggio alpino d’alta quota.
Il Lago di Val Umbrina (o Vallombrina), situato nel gruppo montuoso Ortles-Cevedale a un’altitudine di 2785 metri s.l.m., si trova nel bacino idrografico del fiume Noce e copre un’area pari a 7800 m2. È un esempio di lago di circo formatosi in seguito al riempimento con acqua di fusione di una conca scavata dall’erosione del ghiacciaio che ricopriva queste vallate e che ha cominciato il suo inesorabile ritiro a partire dalla seconda metà del 1800. L’acqua è molto ricca di limo glaciale, sedimento fine formato dall’erosione delle rocce da parte dei ghiacciai, che rimane sospeso nell’acqua e conferisce al lago il caratteristico colore azzurro intenso. Oggi il lago di Val Umbrina è alimentato probabilmente per la maggior parte da rock glaciers (“ghiacciai rocciosi”), ammassi di detriti rocciosi mescolati con ghiaccio interstiziale che si muovono lentamente lungo i versanti; possiamo considerarli delle forme geomorfologiche di “resistenza”, in cui è ancora presente il ghiaccio e che fungono da potenziali habitat alternativi in cui le specie glaciali potrebbero rifugiarsi.
Quando un ghiacciaio si ritira, lascia davanti alla propria fronte conche o depressioni nel terreno che l’acqua di fusione riempie formando laghi proglaciali, in continua evoluzione e per lo più effimeri; questi laghi sono la manifestazione più tangibile del ritiro dei ghiacciai. Laghi glaciali possono formarsi anche quando il materiale detritico trasportato dai ghiacciai, che prende il nome di morena, si accumula e forma una sorta di diga naturale che trattiene l’acqua di fusione, creando laghi da sbarramento.
Con la scomparsa dei ghiacciai, la montagna sta cambiando: l’aumento delle temperature determinate dal cambiamento climatico antropico accelera questo processo, incrementando il numero di laghi glaciali. Il fenomeno ha profonde implicazioni ecologiche, idrologiche e geologiche. I nuovi laghi creano nuovi habitat ma possono anche alterare l’equilibrio della biodiversità locale; le nuove condizioni (di temperatura, ossigeno, nutrienti disponibili) possono favorire specie invasive o generaliste, a scapito di quelle più specializzate alla vita in ambiente glaciale. La fusione accelerata può destabilizzare gli sbarramenti morenici, che possono cedere, causando il rilascio improvviso di grandi volumi d’acqua che si riversano a valle; inoltre l’accumulo d’acqua nei laghi glaciali influisce sulla disponibilità di risorse idriche, con impatti su agricoltura, produzione di energia idroelettrica e approvvigionamento potabile (provate a pensare, da dove arriva l’acqua nei rifugi alpini?!). Con il ritiro del ghiaccio il terreno risulta più instabile, favorendo frane, smottamenti e crolli; inoltre l’assenza del ghiaccio espone le superfici rocciose ad una maggiore erosione meteorica e meccanica.
I laghi glaciali sono affascinanti, ma anche un segnale importante del cambiamento climatico in atto nel nostro pianeta; sono come cicatrici lasciate dai ghiacciai che si ritirano, testimoni del passato. Lo studio di questi nuovi ecosistemi, una sfida che il Muse sta già affrontando, è essenziale per comprenderne le dinamiche di formazione ed evoluzione e per prevenire potenziali rischi ambientali e può anche offrire nuove opportunità per la ricerca scientifica e la conservazione della biodiversità alpina.
